mercoledì 29 aprile 2015

REYKJAVIK CAFé di Solveig Jonsdottir

Questo romanzo è uscito nelle librerie il 12 marzo scorso e io sono molto orgogliosa, perché per una volta sono sul pezzo. Beh, quasi...è passato più di un mese. Ma chi mi segue regolarmente sa che non parlo mai di libri appena usciti, io arrivo sempre dopo, non riesco a stare al passo con queste cose. Quindi sono molto felice di parlarvi ora dello straordinario Reykjavik Café.

Per una donna i trent'anni sono un'età meravigliosa, si comincia a fare sul serio e ad assaporare il bello della vita. Peccato che non sia quasi mai così.
Hervor, Karen, Silja e Mia, ad esempio, sono tutte alle prese con situazioni sentimentali caotiche e insoddisfacenti. C'è quella che si accontenta di saltuarie notti di sesso con l'ex professore di università; chi vive dai nonni, trascorrendo i weekend in discoteca e svegliandosi ogni volta in un letto diverso. Oppure la dottoressa, costretta a lunghi turni di lavoro, che la volta che rientra a casa senza avvisare sorprende il marito con una biondina. E poi c'è la più scombinata di tutte: è stata lasciata dal fidanzato e ora vive in una mansarda in mezzo agli scatoloni del trasloco, faticando a trovare un lavoro e una direzione nella vita. Le quattro giovani donne non si conoscono né sembrano avere molti punti in comune. A unirle è la pausa al Reykjavik Café dove, nel buio gennaio islandese, vanno a cercare un po' di calore. Finché, fra un latte macchiato e un cocktail di troppo, ognuna troverà la propria felicità, o qualcosa di molto vicino.

Prima di tutto un accenno alla copertina: secondo me è stupenda. Solo guardandola si viene catapultati nel freddo inverno islandese. Perché le copertine sono importanti, non prendiamoci in giro. Quando mi trovo di fronte un libro, la scelta di prenderlo o no dipende da diversi fattori: quello più importante, che influenza il 50% della decisione, è sicuramente la trama; un 15% lo attribuisco al titolo del romanzo (per esempio, non leggo nulla che nel titolo abbia qualcosa che si può mangiare...fissazioni mie); e il restante 35% va tutto alla copertina (e al formato del libro).

La scrittura è fresca e scorrevole, già dalle prime pagine il lettore viene coinvolto nella storia e da quel momento in poi è difficile posare il libro. Ogni capitolo corrisponde a una delle protagoniste, alternandosi tra Hervor, Mia, Silja e Karen, con un ritmo sempre incalzante e divertente, non si perde mai il filo della storia e alla fine il lettore ha un quadro completo di ciò che è accaduto.
Le quattro ragazze non si conoscono, ma si sfiorano continuamente durante tutta la storia, incrociandosi e influenzandosi con il loro passaggio. Questo mi ha permesso di riflettere su quanto le nostre azioni influenzino la vita di chi ci sta intorno nel bene (come nel caso di Hervor con Marinò), oppure nel male (come accade tra Karen e Silja). Mai sottovalutare l'importanza di una buona azione nei confronti di qualcuno. Bisognerebbe impegnarsi per fare sempre del bene, anche perché dicono che prima o poi torni tutto indietro e questo romanzo dimostra questa teoria.

Un'altra cosa su cui mi sono ritrovata a riflettere, mentre le pagine mi scorrevano tra le mani, è che quando tutto va male non servono molte parole, a volte basta un semplice abbraccio, pieno d'amore e comprensione, da chi ci sta vicino (che può essere un familiare, ma anche un amico sensibile appena conosciuto); oppure può essere utile anche un buon caffè, che scalda il cuore in una giornata fredda.
Queste quattro donne passano un periodo buio e triste della loro vita, come l'inverno buio e freddo dell'Islanda, protagonista anch'esso insieme alle ragazze, che sferza la capitale con i suoi soffi gelidi. Ma poi arriva la primavera, anche quando sembra tutto troppo buio, il sole comincia a scaldare un po' di più e quel freddo che congelava le ossa comincia a dipanarsi, il cuore riprende a battere e la vita stessa ricomincia.

Da questa terra poco conosciuta, fredda, ma incredibilmente interessante è uscito un romanzo affascinante che parla di quattro donne forti e determinate, che si rialzano dopo una caduta e sanno prendere in mano le redini della propria vita. Non mi stupisce che un libro così arrivi proprio da una giovane scrittrice islandese, Solveig Jonsdottir, perché recentemente ho letto un bel articolo del The Post Internazionale in cui si spiegava perché l'Islanda sia il paese più femminista al mondo. Dateci un'occhiata.

martedì 21 aprile 2015

QUANDO DAL CIELO CADEVANO LE STELLE di Sofia Domino

Sofia Domino è una giovane autrice italiana. Come la sorella Rebecca, il cui romanzo La mia amica ebrea ho già recensito, ha scritto un libro che parla delle terribili condizioni degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.
Entrambe hanno pubblicato i loro romanzi il Giorno della Memoria dell'anno scorso (27 Gennaio 2014). Io ve li avevo presentati entrambi in questo post.
Con incredibile ritardo, e per questo mi scuso con entrambe le autrici, oggi vi parlo di "Quando dal cielo cadevano le stelle".

Lia è una ragazzina italiana di tredici anni, piena di sogni e di allegria, con l'unica colpa di essere ebrea durante la Seconda Guerra Mondiale. Con le leggi razziali la sua vita cambia, e con la sua famiglia è costretta a rifugiarsi in numerosi nascondigli. Passano gli anni, in cui Lia non perde la speranza di riuscire un giorno a vedere la fine della guerra, ma nessuno l'ha preparata alla rabbia dei nazisti. Il 16 ottobre del 1943, la comunità ebraica del ghetto di Roma viene rastrellata dalla Gestapo. Lia sarà deportata ad Auschwitz con tutta la sua famiglia e da quel giorno avrà inizio il suo incubo: i nazisti le ricorderanno che una ragazzina ebrea non ha il diritto di sognare, sperare, amare e vivere. Ma Lia ha un'incredibile determinazione. Quella determinazione brillerà nei suoi occhi quando il freddo sarà troppo pungente, quando la fame sarà lancinante, quando la morte sarà troppo vicina e nonostante tutto le farà amare ancora la vita.


Quando si parla di Olocausto si fa presto a pesare alle cattiverie commesse dalla Germania verso gli ebrei, ma questo romanzo ci permette di rivolgere lo sguardo anche a casa nostra, in Italia, e ci ricorda che purtroppo anche noi abbiamo la nostra dose di colpe per quello che è accaduto. Molti sono stati gli ebrei italiani deportati in campi di concentramento e molto pochi sono tornati alla fine della guerra. Noi italiani tendiamo ad avere la memoria corta, a girarci dall'altra parte, e romanzi come questo possono aiutarci a non dimenticare, per non commettere più gli stessi errori.

La scrittura è molto semplice e il gran numero di dialoghi, più botta e risposta che dialoghi lunghi, fa in modo che la storia scorra velocemente nonostante siano più di quattrocento pagine. Purtroppo la carenza di descrizioni, sia dei personaggi, degli ambienti, ma anche delle emozioni provate da Lia non permettono un vero e proprio coinvolgimento del lettore nella storia. Credo che sia molto difficile far trasparire, attraverso le pagine di un libro, emozioni che non si sono mai provate sulla propria pelle, ma solo riportate e ascoltate da altri.

Il lavoro di documentazione che ha fatto Sofia Domino per scrivere questo romanzo è sicuramente immane, lo si può notare benissimo dalle molte note a piè di pagina che l'autrice ha inserito. Tutto questo è sicuramente necessario per capire meglio il contesto e il periodo in cui tutta la storia si svolge.
Le descrizioni di ciò che subivano gli ebrei sono estremamente dettagliate, ma forse questo rende il racconto un po' ripetitivo (ogni giorno è uguale a quello precedente) e va a discapito delle descrizioni di sentimenti, emozioni, paure e riflessioni che sono carenti, se non assenti, per gran parte del romanzo. Questa poteva essere una buona strategia di scrittura per far capire al lettore la terribile situazione all'interno dei campi di concentramento. Una volta deportati i giorni si svolgevano tutti nello stesso modo e aveva inizio il processo di annullamento della personalità, che era uno degli scopi principali dei nazisti nei confronti dei reclusi. Se questa strategia fosse stata usata solo nella parte che riguarda la prigionia di Lia e della sua famiglia avrebbe creato un impatto più profondo, ma purtroppo è uno stile di scrittura che è stato usato per tutta la storia, anche quando si trovavano solo in un nascondiglio.

Risulta un primo romanzo buono con molte potenzialità, ma con qualche correzione e revisione sarebbe risultato un ottimo lavoro, più completo e incisivo. Perché l'argomento è interessante e soprattutto è una storia molto importante che deve essere raccontata.